STABILIZZAZIONE 15^ octies comma 1 Art 20 Dlgs 75/2017

Con questa sentenza davvero innovativa soprattutto per le motivazioni rassegnate il Giudice del Lavoro ha inteso stabilizzare ai sensi del comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs 75/2017 un precario del SSN con contratto a progetto.
Un risultato incredibile che apre le porte a nuovi scenari.

Il ricorrente ha dedotto che quale 15^ octies con contratto a termine di : a) avere il requisito temporale dei 36 mesi in quanto con contratti taluni stipulati presso altra azienda ed altri presso quella attuale – tutti nello stesso profilo – aveva acquisito tale titolo; b) di essere titolare di un contratto quale 15^ octies rientrante nei rapporti di lavoro flessibile – così come chiarito da circolari ministeriali e Regionali -; c) di aver sottoscritto il contratto con la P.A. solo a seguito di una selezione; d) di essere stato di fatto un lavoratore subordinato e, ciò’, al di là della qualificazione giuridica del contratto a progetto, svolgendo sempre le medesime mansioni, unitamente a colleghi di lavoro dipendenti di ruolo della A.S.L., venendo sottoposto ad eterodirezione da parte della stessa Azienda; e) di aver appreso che nelle procedure volte alla ricognizione e verifica dei precari in Azienda, il suo nominativo era stato escluso a mente del comma 1, art.20 del D.Lgs. n.75/2017, che prevede la stabilizzazione del personale precario in possesso dei tre requisiti; e) di aver verificato che la A.S.L., a contrario, aveva ribadito che la sua situazione professionale gli permetteva unicamente di partecipare ai concorsi riservati ai lavoratori precari della P.A., ai sensi del 2 comma dell’art. 20 D.Lgs. 75/2017; f) frattanto, venivano pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio (BURL) avvisi pubblici indetti dalla A.S.L. per la procedura di stabilizzazione di lavoratori precari di cui all’art.20, comma 1, D.Lgs. n.75/2017, riguardanti tuttavia profili professionali diversi da quello del ricorrente mentre non veniva indetto avviso pubblico in ordine al profilo professionale del ricorrente, chiara circostanza che il diritto di quest’ultimo alla stabilizzazione ai sensi del 1 comma dell’art. 20, D.Lgs. 75/2017 veniva sostanzialmente disconosciuto e denegato da parte della A.S.L.; g) il ricorrente avendo, pertanto, diritto ai sensi dell’art.20, comma 1, del D.Lgs. n.75/2017 ordinava al datore di lavoro di inserirlo nel relativo elenco ai fini del procedimento di stabilizzazione con ordine alla convenuta di concludere il procedimento di stabilizzazione ai sensi della disposizione citata; h) in particolare, quanto al requisito di cui al punto a) non vi è alcun dubbio che il ricorrente era in servizio quale lavoratore precario presso la A.S.L. successivamente al 28 agosto 2015, data di entrata in vigore della L. n.124/2015 (c.d. legge Madia) e, inoltre, vi era stato da parte della A.S.L. un utilizzo di forme di lavoro flessibile (15^ octies) in favore del ricorrente, ragion per cui la A.S.L. non poteva opporre al ricorrente il nomen iuris del contratto di lavoro flessibile; i) quanto al possesso del requisito temporale di cui all’ art. 20 comma 1, D.Lgs. n.75/2017, di aver maturato al 31 dicembre 2019 i 36 mesi; l) in definitiva, il ricorrente – da ritenersi in possesso dei relativi requisiti – asseriva ed argomentava di aver diritto alla stabilizzazione mediante assunzione diretta ex art.20, comma 1, D.Lgs. 75/2017 chiedendo di essere inserito nel relativo elenco ai fini del procedimento di stabilizzazione; m) con il ricorso l’ Avv. Galluccio ha proposto anche domanda cautelare, al fine dell’anticipazione degli effetti della pronuncia di merito avente ad oggetto la declaratoria del diritto del ricorrente alla stabilizzazione ai sensi dell’art. 20 comma 1 D.Lgs. 75/2017, con conseguente ordine alla A.S.L. di inserimento nell’elenco ai fini del procedimento di stabilizzazione avviato dalla medesima A.S.L., e comunque, di dar corso alla stabilizzazione stessa, tenuto conto della palese sussistenza del fumus boni iuris e anche della ricorrenza del periculum in mora. Su queste premesse, il ricorrente, conveniva in giudizio innanzi l’intestato Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, con ricorso ex artt.669 bis e ss. c.p.c., nonchè ex art.414 c.p.c., l’AZIENDA SANITARIA LOCALE, rassegnando le seguenti conclusioni: “in via cautelare: con provvedimento ex art. 700 c.p.c. dichiarare il diritto del ricorrente alla stabilizzazione mediante assunzione diretta ed ordinare all’AZIENDA SANITARIA LOCALE di inserire il nominativo del ricorrente nell’elenco degli aventi diritto all’assunzione diretta ai sensi dell’art. 20, comma 1, D.Lgs 75/2017 nell’ambito del procedimento di stabilizzazione e comunque di portare a compimento il procedimento di stabilizzazione, cui la ASL si è autovincolata con atti amministrativi, convertendo il rapporto di lavoro precario in essere in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; ovvero adottare ogni altro provvedimento idoneo ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito; nel merito: dichiarare il diritto del ricorrente alla stabilizzazione mediante assunzione diretta e per l’effetto condannare l’AZIENDA ad inserire il nominativo del ricorrente nell’elenco degli aventi diritto all’assunzione diretta ai sensi dell’art. 20, comma 1, D.Lgs 75/2017 nell’ambito del procedimento di stabilizzazione e comunque di portare a conclusione il procedimento di stabilizzazione, cui la ASL si è autovincolata con atti deliberativi già adottati, convertendo il rapporto di lavoro precario in essere in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il tutto con il favore delle spese di lite e del procedimento cautelare”. Si è costituita nel giudizio cautelare l’Azienda convenuta, negando la sussistenza del diritto attoreo alla stabilizzazione per assunzione diretta, non essendo l’attore in possesso dei requisiti di cui all’art.20, comma 1, del D.Lgs. n.75/2017 evidenziando che la fattispecie contrattuale non rientrasse nelle tipologie di contratti di lavoro flessibile e, che, l’evidenza pubblica non vi fosse. La convenuta, infine, ha anche negato che l’attività lavorativa dell’attore fosse stata eterodiretta dalla resistente. La convenuta ha quindi insistito per il rigetto dell’istanza cautelare. Con ordinanza resa in data 23.07.2020 il Giudice della fase cautelare ha così statuito: “1) accoglie la domanda cautelare proposta dall’Avv. Galluccio nei confronti della AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE e, per l’effetto, accertato il diritto del ricorrente alla stabilizzazione mediante assunzione diretta ai sensi dell’art.20, comma 1, D.Lgs 75/2017, ordina alla resistente di inserire il nominativo del ricorrente nell’elenco degli aventi diritto all’assunzione diretta e di portare a compimento il procedimento di stabilizzazione, convertendo il rapporto di lavoro precario in essere con il ricorrente in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; 2) rinvia il regolamento delle spese della fase cautelare all’esito del già instaurato giudizio di merito, per il quale fissa udienza ex art.420 c.p.c. per il giorno 29.01.2021 ore 11 con concessione a parte convenuta di un termine per la costituzione nel giudizio di merito sino a dieci giorni prima dell’udienza, mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva ex art.416 c.p.c.”. Fissata l’udienza per il merito si costituiva ritualmente l’Azienda rappresentando che era stata data attuazione all’ordinanza cautelare, la stessa, non era stata reclamata e nel merito si opponeva alle argomentazioni di parte ricorrente. Il ricorso merita accoglimento, per le ragioni già espresse nell’ordinanza cautelare. Invero, le circostanze di fatto dedotte in ricorso risultano in parte provate documentalmente e in parte sono state provate con l’assunzione dei sommari informatori sentiti nella fase cautelare, e comunque non sono state oggetto di specifica contestazione da parte dell’ente convenuto. In base ad esse e alle considerazioni in diritto che seguono, può affermarsi che la domanda è fondata.Per giungere a questa conclusione deve preliminarmente osservarsi che l’art.20, comma 1, del D.Lgs. 75/2017, come modificato dalla L. n.205/2017, art. 1 comma 881, ha disposto che “le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti”. In particolare, ai fini dell’individuazione della platea degli aventi diritto alla stabilizzazione con assunzione diretta da parte di pubbliche amministrazioni, il richiamato comma 1 dell’art.20 del D.Lgs. n.75/2017 prevede che il lavoratore precario: “a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n.124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017 poi prorogato dall’ultimo mille proroghe al 31.12.2021 alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”. Orbene la A.S.L. a seguito della circolare della Regione Lazio – Assessorato Sanità e Integrazione Socio-Sanitaria riguardante l’attuazione della predetta disciplina relativa alle stabilizzazioni ai sensi dell’art.20 D.Lgs. n.75/2017, ha inviato ai propri dipendenti contrattualizzati a vario titolo una nota con la quale si invitavano i destinatari a contattare gli uffici amministrativi preposti al fine di ottenere informazioni e chiarimenti utili per consentire alla A.S.L. di accertare l’esistenza dei requisiti previsti per la prevista stabilizzazione nel triennio 2018/2020. Con pedissequo atto deliberativo la A.S.L. ha poi disposto l’avvio del procedimento di stabilizzazione ai sensi dell’art.20, comma 1, del D.Lgs. n.75/2017 per le assunzioni dirette dei precari aventi i requisiti prescritti e ha quindi proceduto all’indizione di avvisi pubblici per l’acquisizione delle domande di partecipazione. L’attore ha così inviato alla A.S.L. la dichiarazione sostitutiva di certificazione per mezzo della quale ha attestato il possesso dei requisiti di cui all’art.20, comma 1, del D.Lgs. n. 75/2017, circostanza ribadita con comunicazione via PEC e con ulteriore comunicazione sempre via PEC successiva. La A.S.L. ha però inserito il nominativo del ricorrente nel (distinto) elenco del personale avente i requisiti di cui al comma 2, art. 20, D.Lgs. 75/2017, destinato al concorso riservato, e non nell’elenco di cui al comma 1, riguardante i lavoratori precari beneficiari di assunzione diretta, ribadendo la legittimità del proprio operato.Ritiene il Giudicante che, diversamente da quanto ritenuto dalla A.S.L., l’attore abbia diritto alla stabilizzazione ai sensi dell’art.20, comma 1, del D.Lgs. n.75/2017, sussistendo un corrispondente obbligo della A.S.L. convenuta di inserire il ricorrente nel relativo elenco ai fini del procedimento di stabilizzazione e di concludere il procedimento di stabilizzazione ai sensi della disposizione citata. Invero, va in primo luogo osservato che la A.S.L., si è autovincolata ad esperire il procedimento di stabilizzazione mediante assunzione diretta ai sensi del 1. comma dell’art.20, D.Lgs. 75/2017 e a concluderlo includendovi tutti i lavoratori precari in possesso dei requisiti richiesti, ivi compresi quelli con il profilo professionale posseduto dall’attore. Si consideri, al riguardo, che, da un lato, il meccanismo di stabilizzazione previsto dall’art.20, comma 1, D.Lgs. n.75 del 2017, attivato dall’Azienda Sanitaria resistente, richiede l’accertamento di alcuni presupposti oggettivi in capo agli interessati, senza che sussista lo spazio per l’apertura di procedure selettive e per la formazione di corrispondenti graduatorie, nonchè per la formulazione di valutazioni discrezionali, attinenti ai requisiti e al merito, riconducibili a ciascun candidato. Dall’altro lato, va osservato che la contestazione del ricorrente riguarda, nell’ottica del petitum sostanziale sotteso alla domanda, il possesso del diritto soggettivo alla stabilizzazione del rapporto lavorativo, in forza dei requisiti indicati dall’art.20, comma 1, D.Lgs. n.75 del 2017, requisiti di cui l’Amministrazione – dopo aver deciso di avviare la procedura di stabilizzazione anche per il profilo professionale posseduto dall’attore – avrebbe omesso di tenere conto. Sulla domanda attorea, dunque, non vengono ad incidere le valutazioni discrezionali effettuate dall’Amministrazione in ordine all’avvio della procedura ed alla individuazione del fabbisogno di personale cui la stessa deve essere finalizzata. Non si verte quindi in ipotesi nella quale la contestazione investe direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti di macro- organizzazione attraverso cui le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi. Situazione, questa, nella quale non può operare il potere di disapplicazione del giudice ordinario, in quanto esso presuppone la deduzione di un diritto soggettivo su cui incide il provvedimento amministrativo e non invece una situazione giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all’esito della rimozione del provvedimento di macro- organizzazione. In questi casi – nei quali, però, si ripete, non rientra la fattispecie per cui è causa – la conseguenza è che la giurisdizione è quella del Giudice amministrativo, in relazione all’intrinseca consistenza della situazione giuridica dedotta in giudizio (cfr. Cass., sez. un., 27 febbraio 2017, n.4881; Cass. 31 maggio 2016, n. 11387). Venendo al merito della domanda attorea, va poi evidenziato che il ricorrente – diversamente da quanto ritenuto dalla A.S.L. – è in possesso dei requisiti di cui all’art. 20, comma 1, D.Lgs. 75/2017, come modificato dalla L. 205/2017, art. 1comma 881. Invero, con riguardo al requisito di cui al punto a) del comma 1 dell’art.20 del D.Lgs. n.75/2017 – ovvero, risultare “in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n.124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati” – è incontestato tra le parti che il ricorrente ha prestato servizio quale lavoratore precario presso la A.S.L. successivamente al 28 agosto 2015, data di entrata in vigore della L. 124/2015, in forza di formali contratti a termine 15^ octies. Con riguardo poi al requisito del comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n.75/2017 – ovvero, essere stato “reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione” – risulta documentalmente che il ricorrente è stato assunto con un primo contratto a seguito di selezione pubblica per titoli ed esami. In riferimento, invece, al requisito del comma 1 dell’art.20 del D.Lgs. n.75/2017 – ovvero, avere “maturato, al 31 dicembre 2017 poi, prorogato fino al 31.12.2021, va osservato che è pacifico tra le parti che l’attore ha maturato i predetti requisiti. Orbene, con precipuo riferimento ai requisiti di cui ai punti a) e c) del comma 1 dell’art.20 del D.Lgs. n.75/2017, che valorizzano ai fini della stabilizzazione i rapporti di lavoro subordinato a termine intercorsi tra il lavoratore precario e l’amministrazione che procede alla stabilizzazione, osserva il Giudicante che – al di là del nomen iuris attribuito ai contratti a termine 15^ octies stipulati dall’attore tutti i rapporti di lavoro devono qualificarsi come di lavoro subordinato. Per giungere a questa conclusione va sottolineato che l’attore, per l’intera durata dei suddetti rapporti lavorativi, ha pacificamente prestato la propria attività presso il Servizio Trasfusionale dell’A.S.L. svolgendo sempre le medesime mansioni, unitamente a colleghi di lavoro dipendenti di ruolo della A.S.L. L’attività svolta è sempre stata eterodiretta dalla A.S.L. ; si vedano anche gli ordini di servizio. Il ricorrente ha sempre dovuto chiedere al responsabile della struttura l’autorizzazione la fruizione di ferie e permessi ed ha sempre lavorato in orari predeterminati dal lunedì al venerdì, con obbligo di giustificare le eventuali assenze. Inoltre, il ricorrente ha sempre percepito un compenso mensile predeterminato. La conclusione che, nel caso di specie i contratti 15^ octies stipulati dal ricorrente abbiano assunto i connotati del lavoro subordinato ex art.2094 c.c. va ribadita anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, di recente ribadito da Cassazione 25.2.2019 n.5436, che afferma che l’etero-direzione non è esclusa da eventuali margini di autonomia, iniziativa e discrezionalità di cui può godere il dipendente. Questo concetto si è affermato con riguardo a prestazioni di natura intellettuale e/o professionale o di elevato contenuto specialistico, oppure, per ragioni opposte, a prestazioni estremamente elementari, ripetitive, predeterminate nelle modalità d’esecuzione, e che per ciò solo non richiedono un potere direzionale costante. Nel primo caso, che si attaglia al caso di specie, pur non negandosi la presenza di una eterodirezione, si è dato rilievo all’inserimento continuativo e organico delle prestazioni nell’organizzazione d’impresa, definendosi il rapporto di subordinazione attenuata, o funzionale o non tecnica, con riguardo al quale è stato affermato il principio secondo cui quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, nel caso in esame tutti sussistenti, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dai datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi probatori della subordinazione (cfr. Cass. 19 aprile 2010, n.9252 che riprende Cass. Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 379). Si consideri poi che, sulla qualificazione data dalle parti al contratto, la giurisprudenza è unanimemente attestata nel ritenere che essa non può assumere valore dirimente di fronte ad elementi fattuali – quali la previsione di un compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonchè il collegamento tecnico, organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali – che costituiscono indici rivelatori della natura subordinata del rapporto (Cass. 8.4.2015 n.7024, Cass. 21.10.2014 n.22289). Più in generale, si è affermato che: a) sia allorquando le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, abbiano simulatamente dichiarato di volere un diverso rapporto lavorativo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia; b) sia nel caso in cui l’espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti; c) sia infine nell’ipotesi in cui, dopo avere voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di passare ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito, cui compete di dare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve attribuire valore prevalente al comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto stesso (Cass. 1.9.2014 n.18476). Tale conclusione si pone come logica conseguenza del principio dell'”indisponibilità del tipo contrattuale”. Chiaramente, il ricorso della pubblica amministrazione convenuta a reiterati rapporti di lavoro a termine non può comportare la conseguenza o “sanzione” della conversione dei rapporti a progetto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, stante quanto sancito dall’art. 36 D.Lgs. n165/2001, che, nel testo oggi vigente, dispone al comma 5, “In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell’articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286” Come è noto, sulla questione della compatibilità del principio espresso dal richiamato art.36 del D.Lgs. n.165/2001, con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle clausole 4, punto 1, e 5, punti 1 e 2, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva n.1999/70/CE, e alle relative decisioni della CGUE, si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza 27.12.2018, n.248, dove si è fatto riferimento alla sentenza della CGUE 7 marzo 2018, C – 494/16 (Giuseppa Santoro contro Comune di Valderice e Presidenza del Consiglio dei Ministri), che, su rinvio pregiudiziale del Tribunale ordinario di Trapani, ha stabilito che “La clausola 5 dell’accordo quadro … dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità …, accompagnata dalla possibilità, per il lavoratore, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purchè una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. Come dunque rilevato dalla Corte Costituzionale, tale decisione ha affermato “la compatibilità Euronitaria delle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 15 marzo 2016, n. 5072 − pronunciata nel giudizio nel corso del quale era intervenuta la sentenza della CGUE 7 settembre 2015, in causa C-53/04, Marrosu e Sardino − che, dopo aver ribadito il divieto di conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, ha affermato che il dipendente pubblico, a seguito della reiterazione illegittima dei contratti a termine, ha diritto al risarcimento del danno previsto dall’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, con esonero dall’onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della L. 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonchè misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro)”. Da qui, dunque, l’infondatezza della questione, posto che “se da una parte, non può che confermarsi l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato − secondo la pacifica giurisprudenza Euronitaria e nazionale −, dall’altra sussiste una misura sanzionatoria adeguata, costituita dal risarcimento del danno nei termini precisati dalla Corte di cassazione”. Peraltro, con riguardo alla posizione dell’attore e alle domande dello stesso formulate, osserva il Giudicante che la richiesta stabilizzazione ai sensi dell’art.20, comma 1, D.Lgs. n.75/2017 costituisce “sanzione” sicuramente congrua, rispetto ai parametri richiesti dalle richiamate direttiva e giurisprudenza Europee, del ripetuto ricorso ad assunzioni a tempo determinato per far fronte ad esigenze stabili dell’amministrazione. In ipotesi di stabilizzazione, viene, infatti, assicurato ai lavoratori il bene della vita maggiormente prezioso, vale a dire lo stabile posto di lavoro, e ciò senza necessità di sottoposizione ad ulteriori selezioni dall’esito incerto. Quest’ultimo rilievo – e, cioè, la possibilità dei lavoratori di essere immessi in ruolo senza necessità di superare un concorso, come pure richiesto, in via generale e salvo eccezioni stabilite per legge, dall’art.97 Cost. – vale largamente a compensare il “pregiudizio” costituito dalla decorrenza posticipata dell’assunzione a tempo indeterminato. Tale interpretazione è stata, d’altro canto, condivisa, con diffuso orientamento, dalla Suprema Corte, in materia di stabilizzazione del comparto scuola, la quale ha definito la dibattuta questione interpretativa relativa al c.d. precariato scolastico con le sentenze da n.22552/2016 a n.22558/2016, con le quali ha enunciato i principi cardine della materia. La Corte ha, invero, ritenuto che nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4 comma 1 della L. 3 maggio 1999, n. 124, realizzatesi prima dell’entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, con il personale docente, per la copertura di cattedre a posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la misura della stabilizzazione prevista nella citata L. n. 107 del 2015, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto, relativamente al personale docente, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art. 1 della L. n. 107 del 2015″ (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 22555 del 7/11/2016). D’altro canto, pur non essendo riconosciuta la spettanza del c.d. “danno comunitario” ex lege, non è esclusa, anche nella ipotesi di avvenuta stabilizzazione, la proponibilità di domanda risarcitoria dei danni ulteriori e diversi eventualmente subiti dal lavoratore in conseguenza della subita precarizzazione del rapporto di impiego, salvo l’onere a suo carico di offrirne la prova. In tal senso, la Suprema Corte ha infatti affermato che “nelle predette ipotesi di reiterazione, realizzatesi prima dell’entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello ausiliario, tecnico ed amministrativo, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve affermarsi, in continuità con i principi affermati dalle SS.UU di questa Corte nella sentenza 5072 del 2016, che l’avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla menzionata sentenza” (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 22555 del 7/11/2016, cit.). Alla stregua di tali condivisibili principi può affermarsi che nel caso in esame – nel quale il rapporto intercorrente tra l’attore e la A.S.L. già pendente al momento dell’entrata in vigore della legge Madia (28 agosto 2015), qualificabile come rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dalla sottoscrizione di più contratti 15^ octies illegittimi e da un utilizzo di lavoro flessibile ascrivibile alla resistente – la richiesta stabilizzazione ai sensi del 1. comma dell’art.20, del D.Lgs. n.75/2017 si ponga come “sanzione” sicuramente congrua, avverso la quale la convenuta non può opporre il nomen iuris (collaborazione coordinata e continuativa / progetto). In conclusione, deve ritenersi che il ricorrente sia in possesso dei requisiti che gli danno ha diritto alla stabilizzazione mediante assunzione diretta ex art.20, comma 1, D.Lgs. 75/2017, dovendo quindi essere inserito nel relativo elenco ai fini del procedimento di stabilizzazione avviato dalla A.S.L. Conseguentemente, la A.S.L. è obbligata ad attivare la relativa procedura di stabilizzazione essendosi a tanto autovincolata con la suddetta deliberazioneInvero, con riguardo al requisito di cui al punto a) del comma 1 dell’art.20 del D.Lgs. n.75/2017 – ovvero, risultare “in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n.124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati” – è incontestato tra le parti che il ricorrente ha prestato servizio quale lavoratore precario presso la A.S.L. successivamente al 28 agosto 2015, data di entrata in vigore della L. 124/2015, in forza di formali contratti a termine 15^ octies. Con riguardo poi al requisito del comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n.75/2017 – ovvero, essere stato “reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione” – risulta documentalmente che il ricorrente è stato assunto con un primo contratto a seguito di selezione pubblica per titoli ed esami. In riferimento, invece, al requisito del comma 1 dell’art.20 del D.Lgs. n.75/2017 – ovvero, avere “maturato, al 31 dicembre 2017 poi, prorogato fino al 31.12.2021”, va osservato che è pacifico tra le parti che l’attore ha maturato i predetti requisiti.

                                                                P.Q.M.

definitivamente pronunciando, così provvede: 1) accoglie il ricorso proposto e, per l’effetto, accertato il diritto del ricorrente alla stabilizzazione mediante assunzione diretta ai sensi dell’art.20, comma 1, D.Lgs. 75/2017, ordina alla resistente di inserire il nominativo del ricorrente nell’elenco degli aventi diritto all’assunzione diretta e di portare a compimento il procedimento di stabilizzazione, convertendo il rapporto di lavoro precario in essere con il ricorrente in rapporto di lavoro a tempo indeterminato;  

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